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Su San Giuseppe

"L'Ordine del Carmelo fu sempre devoto di S. Giuseppe.

Per testimonianza di Papa Benedetto XIV il Carmelo  fu l'Ordine che portò dall'oriente in occidente la lodevole usanza di onorare S. Giuseppe con solennissimo culto.

 

Il  Breviario carmelitano recava l'ufficio proprio del Santo fin dal 1480; e il Capitolo Generale tenuto in Parigi nel 1456, ordinava che la festa di S. Giuseppe fosse celebrata nell'Ordine con pompa solenne.

 

S. Teresa incorporò lo spirito di questa devozione strettamente carmelitana, lo visse e lo diffuse sia con la parola, sia con l'esempio.

Alla fine del secolo XVIII, infatti, si contavano nel solo Ordine del Carmelo più di centocinque chiese dedicate a S. Giuseppe; e quando nel 1847 Pio IX estendeva alla Chiesa universale la festa del Patricinio di S. Giuseppe, il Carmelo celebrava già questa festa dal 1680, accordatagli da Innocenzo XI il 6 aprile del medesimo anno.

 

Teresa fece di tutto per diffonderne e rassodarne il culto.

In suo onore eresse la prima chiesa della Riforma.

Delle sue altre 17 case, 12 ne volle dedicate a S. Giuseppe.

E lasciò scritto tra i suoi avvisi: 

Benché tu abbia molti santi per avvocati, sii devota in modo particolare di S, Giuseppe che molto può presso Dio". 

(Dalla rivista "Pregare" n. 3 2006)

   La Santa Madre Teresa affiderà al Patriarca San Giuseppe la sua vita spirituale, la sua vita di orazione, tutti i problemi dei suoi monasteri e, infine, della Riforma. A lui attribuirà la propria prodigiosa guarigione da quel male misterioso che l’aveva tormentata per tanti anni; a lui dedicherà il primo monastero e altri che fonderà; a lui ella si rivolgerà, nei momenti di difficoltà, per risolvere i casi più difficili fino ad affermare che mai si era rivolta al Patriarca San Giuseppe senza essere stata esaudita. Dirà che i suoi monasteri saranno guardati da una porta dalla Madonna e dall’altra da San Giuseppe. E questa eredità continua nel Carmelo Teresiano.

  Nel sesto capitolo della Vita la Santa Madre scrive: “Io lo presi per mio avvocato e patrono, il glorioso San Giuseppe, e mi raccomandai a lui con fervore. Questo mio padre e protettore mi aiutò nelle necessità in cui mi trovavo e in molte altre più gravi, in cui era in gioco il mio onore e la salute dell’anima. Ho visto chiaramente che il suo aiuto fu sempre più grande di quello che avrei potuto sperare. Non mi ricordo finora d’averlo pregato di alcuna grazia senza averla subito ottenuta. Ed è cosa che fa veramente meraviglia il ricordare i grandi favori che il Signore mi ha fatti ed i pericoli sia di anima che di corpo da cui, per l’intercessione di questo Santo, mi ha liberata. Sembra che ad altri Santi Iddio abbia concesso di far grazia in questa ed in quell’altra necessità. Il glorioso San Giuseppe, invece, ed io lo so per esperienza, estende il suo patrocinio sopra qualsiasi bisogno. Il Signore vuol farci intendere con ciò che, a quel modo che era a lui soggetto in terra, dove come padre e custode gli poteva comandare, così fa ancora in cielo quanto gli domanda. Questo d’altronde hanno riconosciuto per esperienza anche altre persone che dietro il mio consiglio si raccomandarono al suo patrocinio, e sono molte le anime che si sono fatte da qualche tempo sue devote per avere esperimentato questa verità”.

   In San Giuseppe, nel suo silenzio, nella sua solitudine interiore, nello spirito di contemplazione e di orazione costanti, troviamo un legame profondo con il Carmelo.

   Nell’esortazione “Redemptoris Custos” Papa Giovanni Paolo II riflette a lungo sul silenzio di Giuseppe, al numero 25, scrive: “È un silenzio che svela in modo speciale il profilo interiore della sua figura. È l’uomo dell’interiorità, l’uomo capace di vivere in una profonda contemplazione”. San Giovanni Climaco chiama il silenzio “padre dell’orazione”, in perfetta sintonia con l’intuizione di Santa Teresa di Gesù di scegliere per padre e maestro di orazione il grande e silenzioso S. Giuseppe. San Giovanni della Croce quando tratta dell’orazione unitiva, contemplativa, definendo lo stare in orazione “avvertenza amorosa in Dio” sostiene che essa è possibile quando tacciono le potenze dell’anima. Sappiamo, anche dalle lettere, quanto il Santo esortasse al silenzio e alla solitudine le persone da lui guidate “… è impossibile camminare con profitto, se non si procede operando e soffrendo virtuosamente, tutto avvolto nel silenzio. Tenete per certo, o figlie, che l’anima la quale facilmente parla e conversa, sta poco raccolta in Dio. Infatti quando lo è, da una forza interiore ella è portata a tacere e a fuggire qualsiasi conversazione, poiché Dio vuole che ella trovi la sua gioia più nello stare con lui… tacere dinanzi a Dio, il cui linguaggio, che Egli solo ode, è l’amore silenzioso” (Lett. 8).

   Il silenzio di Giuseppe è tutto interiore, proprio dell’anima che pensa e si occupa unicamente di Dio. In lui, scrive Montan, si trovano i tratti evangelici che sono richiesti ai cristiani e alla Chiesa di tutti i tempi: ascolto della Parola e disponibilità assoluta a servire fedelmente la volontà salvifica di Dio rivelata da Gesù.

   San Giuseppe, vive nella contemplazione costante della Verginità di Maria, nella contemplazione dell’Incarnazione del Verbo e del mistero di Dio fatto Uomo e, da questo puro amore di contemplazione, nasce in lui l’amore altrettanto puro del servizio nel compimento della sua missione esterna, consistente nel proteggere Maria e il Bambino e nel vigilare su di loro. La sua vita è tutta “un’orazione”, nel senso più teresiano del termine, perché vissuta interamente in quest’amore di amicizia, di incontro, di dialogo, di compagnia costante e continua con Gesù. Giuseppe ci insegna a contemplare Nazareth per crescere nella comunione d’amore con Dio e il prossimo, per vivere in quotidiano “contatto” col mistero divino, nel mistero del Dio Uno e Trino per adorarlo nel silenzio delle nostre anime.

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